giovedì 24 giugno 2010

RECENSIONE: Spanglish





Titolo: Spanglish. Quando sono in troppi a parlare
Titolo originale: Spanglish
USA, 2004
Cast: Paz Vega, Adam Sandler, Téa Leoni, Cloris Leachman, Paz Vega
Sceneggiatura: James L. Brooks
Produzione: Lionsgate
Regia: James L. Brooks
Durata: 130'

A Los Angeles il 40% circa della popolazione americana è di origine ispanica. La città degli angeli diventa la meta della messicana Florencia Moreno (Paz Vega), madre single di Cristina e donna dal forte temperamento che decide di offrire un futuro migliore a sua figlia.
Florencia e Cristina lasciano il Messico, ma rimangono pur sempre in un nucleo ispanico e solo la figlia si integra con la cultura americana. Florencia infatti non parla una sola parola di inglese, ma ciò non le impedisce di farsi assumere come governante dalla famiglia Clasky composta da John, (Adam Sandler) chef di un noto ristorante; Deborah (Téa Leoni) ex donna in carriera, i figli Berenice e Frank e la madre di Deborah, Evelyn (Cloris Leachman) cantante Jazz.
Florencia inizialmente si avvale delle traduzioni della figlia Cristina, ma quando iniziano le incomprensioni e capisce che il gap linguistico è problematico, decide di imparare la lingua...
Ma quanto sono bravi gli americani. Così cordiali e ospitali. E' l'America, la terra dalle mille opportunità. è così la dipinge James L. Brooks.
Spanglish è un ricettacolo di cliché e luoghi comuni, rasentando il senso del ridicolo: proprio per dimostrare l'innata bontà degli yankees, il regista specializzato in lacrime e sit-com confeziona una garbata favoletta dove una donna decide di cambiare vita rifiutando allo stesso tempo di integrarsi in una cultura, che, se da un lato rappresenta un modo per rimanere attaccata alle proprie radici, dall'altra puo' dare l'idea di un rifiuto all'integrazione.
Elemento che viene totalmente accettato dalla famiglia Clasky che offre una finestra sul mondo dell'American way of life, e decide di assumere una donna con cui non puo' assolutamente parlare e per di più pagarla a peso d'oro.
L'escamotage dell'incomunicabilità e delle differenze culturali vengono totalmente abbandonate per mostrare i luoghi comuni della tipica famiglia Made in USA: madre nevrotica, irritante e insopportabile, ossessionata del culto del corpo che ovviamente ha una figlia in sovrappeso, insicura e sull'orlo della nevrosi.
Il personaggio di John è l'opposto, calmo, umile, evita lo scontro, ma alla fine esplode anche lui in un cumulo di frustrazioni.
Aggiungiamo anche il figlio apatico e la suocera artista-ubriacona-dispensa pillole di saggezze-una volta-smesso di bere-fuori orario- e non (una esilarante Cloris Leachman, la migliore del cast) e la portata di luoghi comuni è pronta.
Il problema del film è che la (mancata) analisi dei conflitti derivanti da due culture differenti vanno a farsi benedire dopo neanche un'ora di film e Brooks, specialista in buoni sentimenti, non sapendo come continuare per un'altra ora (trenta minuti si potevano benissimo sforbiciare) ci infila una (mancata) storia d'amore tra Florencia e John, la giovane Cristina che finisce nelle "grinfie" di Deborah che la iscrive alla scuola privata (con tanto di esclamazione inquietante da parte della direttrice: "è ispanica!") e tafferugli finali tra madre e figlia.
Davvero un'occasione sprecata. Solo il finale offre un aspetto della difficoltà di mantenere un equilibrio tra le proprie radici e l'integrazione con una nuova cultura, ma cinque minuti sono un po' pochi per un film che affoga lentamente in un'agonia di buoni propositi e tanto, tanto zucchero.
Film lento, tanto da far sembrare due ore un'eternità, Spanglish è una commediola senza pretese. Peccato che con degli ingredienti così appetitosi ne esca una pietanza così insipida.

Voto: 4

A.M.

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